sabato 12 dicembre 2009
Una donna al sole - Edward Hopper
«Tutto quello che voglio è dipingere i raggi del sole sul lato di una casa». Scarna, mediamente "banale" - anche se incisiva - questa sua frase riassume con freddezza lapidaria gran parte della poetica di Edward Hopper (1882-1967).
Al pittore che più di tutti ha saputo rendere tempi, luoghi, memoria e soprattutto luce delle architetture americane è dedicata la antologica di Palazzo Reale. Una mostra che nel suo percorso - dai primi autoritratti fino alle case vittoriane del New England, passando per le luminose vedute parigine - ci trasporta di peso nelle atmosfere rarefatte e cariche d'attesa di questo artista. Interni ben delimitati, spazi freddamente compiuti e incombenti, tratti netti e marcati per narrare drammi middle-class dagli inquietanti finali con "the end" sempre aperti.
Ha attraversato Hopper dall'Età del Jazz alla guerra in Vietnam, eppure la sua arte è cambiata ben poco. Rimase lungo gli anni fedele al "realismo", anche se il suo è un realismo che sconfina dagli spazi angusti della messa in scena: finisce il pittore di Nyack per stregare lo spettatore ben oltre lo spazio museale e la permanenza in mostra. C'è qualcosa di arcano e surreale nella sua pittura silenziosa e calma, a tratti noir, spesso straniante, che perdura e segna ben oltre l'esperienza in mostra.
Le sue vedute nette e rarefatte sono sempre inquietanti. Non per niente la sua House by the Railroad del 1925 fece da modello alla celebre casa di "Psyco" di Alfred Hitchcock, con cui oltre alla passione voyeuristica per le inquadrature dalla "finestra" l'artista condivide anche la preferenza per le donne bionde e algide.
Al pittore che più di tutti ha saputo rendere tempi, luoghi, memoria e soprattutto luce delle architetture americane è dedicata la antologica di Palazzo Reale. Una mostra che nel suo percorso - dai primi autoritratti fino alle case vittoriane del New England, passando per le luminose vedute parigine - ci trasporta di peso nelle atmosfere rarefatte e cariche d'attesa di questo artista. Interni ben delimitati, spazi freddamente compiuti e incombenti, tratti netti e marcati per narrare drammi middle-class dagli inquietanti finali con "the end" sempre aperti.
Ha attraversato Hopper dall'Età del Jazz alla guerra in Vietnam, eppure la sua arte è cambiata ben poco. Rimase lungo gli anni fedele al "realismo", anche se il suo è un realismo che sconfina dagli spazi angusti della messa in scena: finisce il pittore di Nyack per stregare lo spettatore ben oltre lo spazio museale e la permanenza in mostra. C'è qualcosa di arcano e surreale nella sua pittura silenziosa e calma, a tratti noir, spesso straniante, che perdura e segna ben oltre l'esperienza in mostra.
Le sue vedute nette e rarefatte sono sempre inquietanti. Non per niente la sua House by the Railroad del 1925 fece da modello alla celebre casa di "Psyco" di Alfred Hitchcock, con cui oltre alla passione voyeuristica per le inquadrature dalla "finestra" l'artista condivide anche la preferenza per le donne bionde e algide.
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